giovedì 5 maggio 2011

Stiamo consumando il nostro futuro

La cementificazione di massa ai Castelli Romani è conseguenza diretta dell’unica legge italiana che ha funzionato bene dal dopoguerra ad oggi, ovvero: libero abuso, sanato - in libero Stato. Come non ricordare il film “Le mani sulla città” di Francesco Rosi, una spietata denuncia della corruzione e della cementificazione dell'Italia degli anni sessanta.
I nostri territori sono stati vittime di un sistema legislativo lacunoso e che, frammentando le competenze tra organi centrali e periferici, ha permesso la cementificazione selvaggia da parte di costruttori senza scrupoli. Vi ricordate Aldo Fabrizi nel film “C’eravamo tanto amati”, che raffigurava lo stereotipo del palazzinaro disonesto?
Il valore paesaggistico di un territorio venne normato per la prima volta nel 1922, a cui seguì la legge Bottai del '39, in pieno regime fascista. Solo alla fine dei “mitici” 70 si tornò a discutere in parlamento della tutela del ricchissimo patrimonio ambientale e paesaggistico italiano. Da allora sino ad oggi il vuoto normativo in materia urbanistico-edilizia.
Manca ancora una sensibilità diffusa per la tutela ambientale, così si è realizzato lo scempio che è sotto i nostri occhi: gettate di cemento ovunque.
Questo è stato possibile per la mancanza di controllo da parte delle amministrazioni pubbliche, che poi si perdono in uno stucchevole scaricabarile.
Il cemento, l’asfalto e le auto, presero il posto del verde e degli spazi pubblici, basta pensare alle piazze: prima luoghi d’incontro, oggi semplici parcheggi. Vennero penalizzati anche i collegamenti su ferro ad uso collettivo, a vantaggio del trasporto privato su gomma.
Il dissesto idrico dei laghi dei Castelli è solo l’esempio più drammatico. La carenza e la bassa qualità delle acque potabili sono conseguenze dell’urbanizzazione di massa, che ha contaminato le acque superficiali, costringendo ad andare sempre più in profondità dove l'acqua è “ricca” di metalli pesanti.

Ecomostri nei boschi di Marino
   
L’antropizzazione del territorio si è sviluppata ai Castelli di pari passo con la sua cementificazione incontrollata, così siamo passati da 230.000 abitanti del 1980, ai 350.000 del 2010: 120.000 mila persone in più. Ogni persona porta con se metri cubi di cemento, traffico, rifiuti e un consumo d’acqua che viene sottratto al territorio.
Ai Castelli Romani in questo momento c’è un numero di abitanti di gran lunga superiore a quello “sostenibile” per l’ambiente, eppure le amministrazioni continuano a svendere le nostre vigne e i nostri boschi.
Una migliore qualità della vita è possibile: programmando, ad esempio, interventi per il recupero urbanistico ed edilizio dei centri storici o di aree dismesse, un modo per creare posti di lavoro nel settore edile, recuperando spazi per l’uso pubblico e privato e salvaguardando l’ambiente da ulteriori speculazioni. Questa è l'opzione zero già sperimentata con successo in altri comuni, se ne comincia a parlare anche da noi, ma bisogna fare in fretta.

Emiliano Bombardieri

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