In riferimento alla proposta di dichiarazione di notevole
interesse pubblico denominata “La Campagna Romana tra la via Nettunense e
l’Agro Romano” (Tenuta storica di Palaverta, Quarti di S. Fumia, Casette, S.
Maria in Fornarola e Laghetto), oggetto delle seguenti osservazioni premettiamo
che l’area compresa tra i Castelli Romani e il litorale, in quanto culla della
civiltà latina, dovrebbe essere protetta per il suo valore storico e paesaggistico.
Un valore purtroppo non pienamente colto, spesso abbandonato e poco conosciuto,
ancora non valorizzato e privo di una visione d’insieme. La cementificazione ha
purtroppo compromesso larghe porzioni di territorio, analizzando i dati
pubblicati dall’ISPRA, emerge che il Comune di Albano Laziale ha consumato il
27,1% del suolo (644 ettari di terreno), il Comune di Marino ha consumato il
26,2% del suolo (633 ettari) e il Comune di Castel Gandolfo l’11,5% del suolo
(163 ettari) percentuale più bassa per le peculiari caratteristiche orografiche
del vulcano laziale, la presenza del lago e grazie proprio alla tutela del
Parco regionale dei Castelli Romani e dei vincoli paesaggistici vigenti, ma
comunque superiore alla media nazionale, per questo tale vincolo è una
necessità inderogabile per salvare ciò che resta.
Siamo in epoca di drammatici cambiamenti climatici, eppure la
sostenibilità ambientale viene messa a dura prova da nuove costruzioni. Non si
è ancora affermata una cultura del recupero del patrimonio edilizio esistente (centri
storici, capannoni industriali abbandonati, ecc…) e si continua a consumare in
modo dissennato suolo vergine dei Castelli Romani, con nuove case e strade,
mettendo a rischio, con la distruzione del paesaggio, due settori economici portanti
dell’economia castellana: il turismo e l’agricoltura.
Il vincolo in questione rappresenta un elemento essenziale per
il raccordo tra i tre vincoli già esistenti, ossia il vincolo Paesaggistico del
Parco dei Castelli Romani, il vincolo Paesaggistico “Ambito meridionale
dell’Agro romano, compreso tra le vie Laurentina ed Ardeatina” ed il Parco
dell’Appia Antica. Il Parco dei Castelli salvaguarda infatti la fascia alta dei
boschi e dei laghi, lasciando fuori dal suo perimetro la pregiata area coltivata
che si trova lungo la fascia pedemontana percorsa dalla via Nettunense. Nessuno
tutela quei vigneti, che costituiscono la nota caratteristica del paesaggio
castellano e impediscono il saldamento tra la conurbazione di Roma e le
cittadine castellane.
In questo territorio nell’antichità sono nate, per la prima
volta nel Lazio, istituzioni, magistrature e culti che saranno fondamentali nel
mondo romano. E poi il culto comunitario sul Monte Albano, rivolto a divinità
primitive e precedenti a Giove Laziale, ove nasce un sistema politico religioso
di tipo pre-federale che progressivamente godrà di sovrapposizioni ed
assimilazioni che resero queste terre un punto di riferimento imprescindibile.
Dal VII – VI sec. a.C., e poi nel corso dei secoli successivi, l’attività
politico – religiosa di tutti i popoli del cosiddetto “Latium Vetus” si
incentrò sui Colli Albani: le divinità venerata sul Monte Albano, Giove, le
feste latine. Un percorso dentro ai millenni - compreso un importante medioevo in
cui nel fertile suolo alle pendici dei Colli albani di origine vulcanica, reso
mite dalla brezza marina, sorsero importanti domuscultae come Calvisianum, S.Edisto
e Sulpicianum (rimasto nel toponimo fundus Sulpicianum), il lascito del Grand
Tour (raccogliere eventuali dipinti che rappresentano il paesaggio da tutelare)
- e che ha il dovere di essere
riscoperto, tutelato e valorizzato, affinché a nessuno venga più in mente di
interpretare questa area come luogo adatto per ulteriori cementificazioni.
Eppure ci può essere una strada diversa. Nell’area in questione
ci sono agriturismi come il Casale della Falcognana, l’azienda agricola Pinci,
l‘agriturismo Bacco in via Casette, uliveti, vigneti, cantine come il Gotto
d’Oro, location per matrimoni con sale di rappresentanza decorate come la
Certosa, giardini visitabili come lo stesso casale Scaramella, il golf club di
Pavona Laghetto.
Queste imprese indicano una strada diversa dallo pseudo
“sviluppo” derivante da nuove cementificazioni, che consumano territorio senza
dare prospettive.
Carta di Ameti – 1693
L’area da tutelare a Pavona rappresenta
l’ultima porzione di paesaggio agrario di valore rimasta nel territorio di
Castel Gandolfo, ancora ampiamente coltivata, soprattutto con oliveti,
utilizzati per soddisfare i consumi familiari. Tale realtà è gravemente
minacciata, con alcuni casi di oliveti dismessi in vista della variante al PRG
e alla “promessa” di poter costruire. Con una prospettiva di declino
demografico certificato dall’ISTAT e di mutata pianificazione territoriale da
parte della Regione, che ad esempio ha visto la recente apertura del nuovo
ospedale dei Castelli a 7 km da Pavona e la contemporanea chiusura degli
ospedali limitrofi ad Albano e Genzano, appare evidente che la variante al PRG
del Comune di Castel Gandolfo, che si fonda su dati e stime vecchie del 2004,
sia già superata.
Pavona di Castel Gandolfo oggetto di tutela, con al centro
l’asse della Nettunense.
Come si evince dal rilievo
satellitare aggiornato al 2020 (google earth) il paesaggio agrario di
valore è ancora pressoché intatto e la tutela, ai sensi dell’art. 9 della
Costituzione, rappresenta un elemento indispensabile per uno sviluppo agricolo e
turistico del territorio.
A supporto della proposta di
dichiarazione di notevole interesse pubblico denominata “La Campagna Romana tra
la via Nettunense e l’Agro Romano”, viene riportata la storia dei Casali
Scaramella-Manetti (Bibliografia: “Storia di Pavona” di Alessandro Serra (2017),
situati a Pavona sulla Via Nettunense nell’area compresa tra Casette e Laghetto.
La prima testimonianza della presenza dei Casali Scaramella-Manetti si ha con
il Catasto Alessandrino del 1660 in cui è visibile un piccolo edificio proprio
sulla Via Nettunense che rappresenta la chiesa e il casale adiacente nell’ambito
delle “Vigne di Castello”. Già in quell’epoca, dunque, l’area era coltivata a
vigneto e faceva parte di Castel Gandolfo.
Con l’acquisto dei casali da
parte del Senatore Scaramella (1884), laureato in agronomia, si entra in una
seconda fase decisiva per la formazione del borgo agricolo, tanto importante da
lasciare il nome al complesso, congiunto a quello della moglie, Ernesta
Manetti, figlia del procuratore ed agente generale del Principe di Torlonia
della quale si aggiunse il cognome dando vita alla famiglia Scaramella-Manetti.
Grazie anche alla sua
influenza politica, il Senatore Scaramella fece ottenere la Stazione di Pavona
sulla linea ferroviaria Roma-Velletri, contribuendo così allo sviluppo del territorio,
chiaramente visibile nelle successive foto aeree dell’area di Pavona.
Salvare i terreni dei Casali
Scaramella-Manetti dalla cementificazione significa difendere l’ultimo scampolo
di campagna presente a Pavona dalla speculazione edilizia e dagli interventi di
distruzione del territorio, già iniziati con il taglio di alcuni oliveti lungo
via Trento (punto di osservazione) nel corso degli ultimi 10 anni, in quanto
ritenuti un ostacolo alle mire edilizie.
I Casali Scaramella-Manetti
presentano stanze decorate con stucchi neoclassici e un giardino all’italiana, ma
l’interesse è dato soprattutto dal fatto che costituiscono uno degli ultimi esempi
di borghetti agricoli superstiti della campagna romana, stratificatosi nel
corso del tempo.
Privare i casali in questione
del paesaggio agricolo che hanno contribuito a plasmare nel corso dei secoli
rappresenta un evidente minaccia alla loro valorizzazione.
Dal
punto di osservazione di via Trento, lungo la linea ferroviaria Roma-Velletri, si
possono ancora ammirare il vulcano laziale, la villa pontificia, il borgo di
Castel Gandolfo e il Monte Albano, area minacciata dalla scelta
dell’amministrazione comunale pro tempore, che l’ha inserita tra le aree di
espansione del PRG.
Paesaggio visto da Via Trento, con la Villa Pontificia, il borgo di Castel Gandolfo, il Vulcano Laziale e il Monte Albano,
Dettaglio di uno degli
oliveti con la fioritura di particolari anemoni viola.
Scelte
come queste dimostrano l’incapacità di scommettere sul volano della storia,
della cultura, del turismo e del preesistente per buttarsi in ambiti di
sviluppo che non hanno dato quasi nulla alle comunità locali in termini di
ritorni economici e occupazione. Quelle stesse comunità che oggi chiedono
legittimamente di non essere offese, facendo appello alla tutela prevista
dall’art. 9 della Costituzione, e di convalidare interamente l'individuazione
dell'ambito paesistico dell'insediamento storico diffuso e di confermare le
prescrizioni contenute nelle N.T.A. (Norme Tecniche di Attuazione), a tutela
delle caratteristiche identitarie dei luoghi.
Nessun commento:
Posta un commento